4 – L’ incastellamento

Pofani

Nei sopravvissuti ai saccheggi e agli incendi maturò, allora, l’ idea di spostare la residenza in un luogo più sicuro, alla sommità del colle che, indubbiamente, dava garanzia di maggiore sicurezza.

Fu proprio intorno all’ anno 1000 che cominciò la costituzione del nucleo storico abitativo nel punto tuttora esistente.

Le devastazioni non riguardarono, purtroppo, soltanto il territorio di Pofi ma, in genere, tutte le località della terra di Campagna, che furono rase al suolo.

Quando il territorio, grazie ai superstiti, tornò a popolarsi, non esistendo più il potere centrale dell’ impero romano, si assistette alla nascita di tanti piccoli regni con a capo dei vescovi che cominciarono a crearsi un’ area di influenza, sulla quale esercitavano il potere in nome del Papa.

Pofi, insieme ad altre comunità limitrofe, faceva parte della “Diocesi di Veroli”, i cui vescovi, cedevano in locazione parte delle loro immense proprietà: nell’ambito di tale procedura le terre del castello di Pofi furono concesse in un primo tempo ai Girondi, una potente famiglia di Monte San Giovanni Campano e, successivamente, a vari “condomini”, signori di Ripi, Torrice e, anche di Pofi che esercitavano il potere sul territorio per conto del Vescovo Di Veroli.

Durante tale periodo, allo scopo di difendere il territorio di Veroli, cominciarono a sorgere, in punti strategici, alcuni casali fortificati o corti (“castrum” per i latini ).

Tra le altre, come quella di Ripi e di Torrice, venne costruita anche la “corte” di Pofi che aveva lo scopo primario di fronteggiare la rocca di Arnara, di proprietà dei Conti di Ceccano, che, con la sua possente torre, dominava la valle.

La “corte” di Pofi, detta anche “Torre Mastra” o “Maschio“, la cui costruzione è da far risalire al X – XI secolo, tutt’ ora esistente, come sede del Palazzo Municipale, venne eretta su una base monolitica di pietra e malta di calce e assunse la forma di un prisma pentagonale, su tre piani.

Scrive Vincenzo Celletti, nel suo volume dedicato al periodo feudale di Pofi :

Alta tre piani, questa ( la “corte” ) si ergeva a forma di un prisma pentagonale, la cui base aveva due angoli retti, adiacenti, due ottusi, opposti, e uno acuto opposto al lato che congiunge gli angoli retti.

            Grosso modo, il prisma aveva la base somigliante a una nave a poppa piatta, con la prora rivolta, certamente ad arte, verso la rocca di Arnara.”

Successivamente vennero costruite la piazza d’ armi, le torri e le porte di accesso al fortilizio, mentre un primo nucleo abitativo cominciò a svilupparsi nella zona del “Rinchiàstre”.

Sull’ evoluzione costruttiva di tutto il castello rimando il lettore all’ opera “Il Castello di Pofi” di Francesco Cioci il quale, fondendo la passione per la storia locale con la professionalità del tecnico, “ha posto una vera e propria pietra miliare nella conoscenza della storia del nostro paese”, come ebbe modo di notare lo storico Carlo Cristofanilli nell’ introduzione all’ opera.

La prima notizia certa su Pofi risale al 15 settembre 1019: da una pergamena conservata presso l’   Abbazia di Montecassino risulta che un tale Amato, prete che risiedeva presso il Castello di Pofi e figlio di un certo Domenico, donò all’ Abate Atenolfo di Montecassino, un pezzo di terreno della superficie di “cinque moggi” comprendente una vigna con alberi da frutta, facente parte del “Castello di Pofi” per la redenzione dei suoi peccati.

Nel documento compare anche la figura del diacono Giovanni, il “tabellione” del Castello di Pofi.

Il “tabellione” era una specie di notaio che svolgeva funzioni di pubblico ufficiale in rappresentanza del feudatario.

Testimoni del documento furono: Rampo ( forse residente nella contrada “Rampi” ), Adalberto di Rachildo, Azzone di Fredone ( da cui la contrada  “Fraudone” ).

Un documento successivo, datato 2 Ottobre 1024, parla di una nuova donazione fatta da “Iltone”  di Pofi  di un fondo in località “Selicetta”.

Tutto il territorio circostante la corte, abbandonato durante le invasioni turche, era ridotto a boscaglia, per cui cominciò, lentamente, il duro lavoro della bonifica e del dissodamento di un terreno che, proverbialmente fertile e ricco di acque sorgive, iniziò a rendere ai coloni che lo lavoravano raccolti abbondanti, permettendo, quindi, che la zona si popolasse.

I coloni attendevano ai lavori di coltivazione delle terre circostanti e, in caso di pericolo, trovavano rifugio per sé e per i loro beni all’ interno della cinta fortificata.

Essi coltivavano il terreno suddividendolo in “quarti“, con la tecnica delle rotazioni classiche, ancora in uso tra la nostra gente: nel primo anno il terreno si coltivava a maggese, ripulendolo dalle erbacce; nell’ anno successivo si seminava il grano su un terreno, mentre gli altri due venivano lasciati al pascolo, facendo in modo che si rigenerassero e si concimassero.

Del raccolto, un quarto spettava al proprietario (il famoso “quartario” della “Bolla” di Celestino III ) al quale, nei due anni di pascolo, veniva versata una piccola quota per ogni capo di bestiame.

Già allora si coltivavano cereali, vigna e alberi da frutta, mentre qualche piccolo appezzamento era riservato alla coltivazione del lino dal quale, poi, si ricavavano stoffe.

Il culto della figura di S. Antonino non è mai venuto meno presso la popolazione di Pofi.  La leggenda del miracolo dell’ acqua, tramandatasi nei secoli di generazione in generazione, portò, intorno al secolo XI, alla costruzione, sul luogo stesso del miracolo, della chiesa romanica tuttora esistente.

Già in precedenza qualche tempietto doveva in qualche modo ricordare, ai tanti pellegrini, il luogo nel quale era avvenuto il miracolo e, sembra, addirittura, che la chiesa sia stata costruita nelle adiacenze di un vecchio monastero.

La chiesa, ad una navata, è orientata, con la facciata, verso Ovest e comprende, anche, una torre campanaria con le caratteristiche finestre a bifore.

Vecchia foto della Chiesa di S. Antonino (1935)
Vecchia foto della Chiesa di S. Antonino (1935)

            La parte di fondo, nella quale si trova l’ altare e la porticina di accesso alla torre, presenta un soffitto più basso, mentre la parte antistante, forse costruita successivamente, ha il soffitto più alto.

La parete interna d’ ingresso è ricoperta da un grande affresco risalente al 1433, durante la signoria di Onorato Caetani, il quale sarebbe stato raffigurato, nell’ affresco, nel dignitario che si genuflette davanti alla Croce.

Particolare dell' affresco del 1433. Onorato Caetani sarebbe il dignitario sulla destra.
Particolare dell’ affresco del 1433.
Onorato Caetani sarebbe il dignitario sulla destra.

L’ affresco rappresenta il Giudizio Universale e venne realizzato da pittori, forse monaci, di scuola umbro – laziale.

Nella parete di fondo il pittore Celeste Donzelli di Pofi realizzò, nel 1936, una pittura che riproduce la scena del miracolo dell’ acqua con i personaggi che indossano i costumi del tempo in cui venne realizzata la stessa pittura.

Anche all’ interno del fortilizio sorgeva la chiesa, dedicata a S. Maria.

Venne costruita, probabilmente, insieme al fortilizio, nello stesso punto nel quale, nel 1700, sarebbe stata edificata quella che ci è stata tramandata.

Si trattava di una struttura modesta, ma che rivestiva, nella comunità, un ruolo preminente.

Il nucleo parrocchiale che si era venuto a costituire svolgeva mansioni sociali di primaria importanza: il sacerdote e il Presbitero, oltre ai sacramenti, cominciarono ad impartire ai bambini i rudimenti della scrittura e dell’ istruzione in genere.

Successivamente la chiesa divenne una “Collegiata“, con l’ arciprete ed alcuni beneficiati.

L’ arciprete, poi, registrava i battesimi, i matrimoni ed i morti della parrocchia svolgendo, quindi, mansioni di stato civile e di tenuta dell’ anagrafe.

Il suo patrimonio si accrebbe allorché, intorno al 1500, vennero uniti ai beni della chiesa di S. Maria, anche quelli della chiesa di S. Antonino.

In essa, infine, prestava giuramento il “Capitano della Terra” all’ atto dell’ insediamento della carica.

Contemporanee alle chiese di S. Antonino e S. Maria dovevano essere la chiesa di S. Pietro, costruita dove ora sorge il convento dei francescani e la chiesa di S. Colomba che forse sorgeva nella contrada “Ringhiastre “, con annesso un monastero di monache benedettine.

Sicuramente tale chiesa possedeva dei beni perché la contrada “Colombella” prenderebbe tale nome da un appezzamento di terreno che era appartenuto a questa chiesa.

Tra le prime chiese costruite a Pofi vanno ricordate, poi, la chiesa di S. Restituta, di cui si parla, già, nel 1200 e che sorgeva sul “Colle della Mòla a Vento“, la chiesa di S.. Giovanni sopra le Piagge e la chiesa di S. Andrea, anteriore al XV secolo, costruita fuori dalle mura castellane, nelle vicinanze della “Porta del Merangolo“.